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Vecchio 21-03-2007, 20:14   #1
tascima271
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l'Assessore Prosperini

20/3/07 - DA "IL GIORNALE" DI OGGI
IL GIORNALE: n. 67 del 2007-03-20 pagina 1

Il tour del «camel» dell’assessore
di Stefano Lorenzetto

La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti, essa già
trasvola e accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: «Possono rimanere in
Italia solo coloro che condividono i nostri valori e osservano le nostre leggi.
Te se minga d’accord? Camel e barcheta e te turnet a ca’». A volte declinata al
plurale: «Ciapum el camel, ciapum la barca, ciapum quel che voerun e turnen
indrè». A volte allargata ad altri mezzi di locomozione: «Ciapen el trenin,
ciapen el piroscafo, ciapen la careta, ciapen el camel e via, a ca’!». A volte
tradotta, nella foga, persino in italiano: «Prendete il cammello e tornate a
casa». Fino all’apoteosi: «Via, foeùra di ball!». Anzi, complice il sito You
Tube, collettore planetario di filmati messi su Internet dagli utenti, essa già
trasvola dalle Alpi al Pacifico e all’Atlantico: «Uè, l’alter dì m’ha scritt un
de l’Australia», gongola l’assessore ai giovani, allo sport e al turismo della
Regione Lombardia. «Le mie segretarie hanno ricevuto e-mail da Dallas,
dall’Inghilterra e persino dal Dubai».
Altro che Santoro. È lui, Pier Gianni Prosperini di San Pietro, «Baluardo della
Cristianità, Difensore della Fede, Flagello dei centri sociali, Eradicatore di
no-global, Condottiero e Protettore del Nord», come attestano i santini che lo
ritraggono vestito da crociato con la spada sguainata, il tribuno televisivo del
momento. Ogni lunedì, alle 23.30 su Telereporter, e poi in replica il mercoledì
su Telelombardia e il sabato su Telecity 7 Gold, predica il suo verbo in un talk
show dal titolo vagamente autoreferenziale, Prosperini: la Destra del Nord,
giustificato peraltro dal costo dello spazio autogestito (sui 400 euro a
puntata), dove ogni salmo finisce in gloria: «Non ti va bene? Camel, barcheta e
su de dos!», cioè togliti di torno. Che se ha il pregio di attagliarsi agli
stranieri – fondamentalisti islamici, fancazzisti albanesi, zingari slavi,
prostitute nigeriane – risulta già di più difficile applicazione con le altre
bestie nere dell’assessore lombardo: brigatisti, leoncavallini, partigiani
titini, gay, pedofili, artisti degenerati, giù giù per li rami fino ai pitbull
(«ho avuto 14 cani, ma questa razza cattiva non esiste in natura, ergo va
soppressa per decreto»). Vicentino, 60 anni, milanese dall’età di due, già
seguace di Benito Mussolini, poi di Umberto Bossi e ora di Gianfranco Fini,
recordman di preferenze («quasi 20.000, più di tutti gli altri candidati di An
messi insieme»), uno e 90 di altezza, 140 di torace, 46 di piede, a dispetto
delle ascendenze patrizie (il nonno avvocato, insigne latinista e grecista, era
nato a San Pietro di Legnago, donde il toponimo trasformato in cognome) e delle
due lauree (medicina e lingue straniere), Prosperini parla come mangia. E
siccome fino ad agosto pesava 140 chili, ora ridotti a 120 con la rinuncia ai
250 grammi di spaghetti e al mezzo etto di burro che li condiva, gli viene
naturale, incrociando un parlamentare nel cortile dell’assessorato di via
Rosellini, riverire la segretaria che cammina al fianco del deputato con un
«saluti anche alla fighetta a latere». Saliti all’ultimo piano, ho la conferma
che il suo modello verbale è Primo Carnera. Una foto lo ritrae con Maria
Giovanna, la figlia del gigante di Sequals che di scarpe portava il 52. Accanto
sono appesi i guantoni da boxe. Nel pugilato è stato nazionale dilettanti pesi
massimi, nello judo cintura nera IV dan. L’ufficio è arredato di conseguenza:
una palestra. «Ciò, son o no’ son l’asesore alo sport?», rinverdisce il dialetto
dei padri. Poliercolina per mantenere in esercizio i tricipiti, macchina per
allenarsi al braccio di ferro e minicampo da golf, «l’unico che i me gà regalà,
ma non me piase un casso». Benché abbia il brevetto di tiratore scelto di
carabina e pistola, Prosperini preferisce le armi bianche. Alle pareti sono
appese due katane giapponesi, una spada russa e altre quattro sciabole d’epoca.
Sulla scrivania tiene allineati una mezza dozzina di coltelli a serramanico, una
scure bipenne, due asce da lancio dei Cherokee, una mannaia da boscaiolo, un
machete colombiano, «tutti rigorosamente senza filo, lo tolgo io con la pietra
pomice, altrimenti a quest’ora sarei già senza dita», giocherella con un kukry,
il pugnale dei gurkha, i mercenari nepalesi dell’esercito britannico. «Che vita
sarebbe senza un nemico da combattere?». Al telefono ho ascoltato La leggenda
del Piave. Curiosa musichetta d’attesa per il centralino di un assessorato.
«I tecnici si sono superati per esaudire il desiderio del dottore».
Dove esercita? «Non faccio più né il primario né il medico. Sono 15 anni che non
visito. Però continuo a insegnare all’Università di Pavia». (Parte l’inno degli
alpini: è la suoneria del cellulare). Le piacciono i brani marziali.
«Il Piave è fiume sacro alla patria. La patria è sopra tutto. L’alpino attende a
pie’ fermo sulla linea del Piave. Non passa lo straniero. Il freddo ci fa una
pippa, la fame ci fa dimagrire. Be’, la sete è già peggio…».
È stato alpino? «Alpino paracadutista. Dall’Alpe di Siusi alla Norvegia, mi sono
lanciato dovunque. Il nemico della civiltà giudaico-cristiana troverà pane per i
suoi dentini. Il motto di famiglia è Fidem servabo genusque, conserverò la fede
e la stirpe». E che stirpe. «Mio nonno ebbe sei figli. L’unico maschio lo generò
mio padre. A 18 anni avrei voluto arruolarmi nella Legione straniera. Mia madre
me lo impedì perché ero l’ultimo dei Prosperini. Così ho sposato un’avvocata e
ho fatto una figlia, Francesca Maria, psicologa, luce dei miei occhi, padrona e
signora del dottore. Però ancor oggi la Légion étrangère mi ospita nel centro di
reclutamento di Aubagne e sono abbonato a Képi blanc». (Un képi bianco è
sull’attaccapanni). S’è laureato in lingue ma alla Tv parla in dialetto.
«Sono ruvido, non rozzo. Parlo tedesco, francese, inglese, spagnolo, milanese,
vicentino e sto studiando il russo. La regina Vittoria scriveva al doge in
veneziano, facendosi aiutare da un interprete». Perché ha fatto il medico? «Era
una professione che permetteva scelte di vita indipendenti. Volevo andare in
Africa». A curare i lebbrosi? «A curar i lebrosi un casso! Semmai a fare il capo
di Stato. Laggiù valgono ancora il valore, la forza, il coraggio. In Italia se
sei valoroso non frega niente a nessuno, contano solo i ladri. Io dico che si
può uccidere, per difesa o per vendetta, ma rubare no, non si può». Perché è
entrato in politica? «Ho sempre votato per l’Msi. Ma nell’89 ha vinto Rauti.
Troppo di sinistra per me». Ma non gli davano del nazista? «Appunto. E come si
chiamava il movimento di Hitler? Partito nazional socialista dei lavoratori
tedeschi. Socialista, cioè comunista. Rauti era più a sinistra di Bertinotti,
avversava la proprietà privata. Perciò ho scelto la Lega. Ma otto mesi dopo
Bossi ha detto che voleva bruciare il tricolore». Orrore. E del resto nel ’75
era o non era iscritto al Pci di Samarate? E Roberto Maroni viene o non viene da
Democrazia proletaria? Così ho fondato la Destra del Nord». Di che tratterà
nella prossima puntata del suo teleshow? «Della pagliacciata dei (censura) che a
Roma hanno manifestato per i Dico. Non ho niente contro di loro. Convivano pure.
Ma l’omosessualità è una devianza. Quindi niente famiglia e niente adozioni. Il
gay dichiarato non può essere né insegnante, né militare, né istruttore
sportivo» Parte pacato ma poi si scalda. «Ha visto il fotomontaggio di Benedetto
XVI col dito medio alzato? Ci provino con la faccia di Maometto, se hanno i
coglioni. Ecco, qua vien fora el mejo del dotor. Garrotiamoli, ho concluso». Un
castighetto da niente. «Ma non con la garrota di Francisco Franco. Alla maniera
degli Apache: cinghia bagnata legata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga
il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia». Lei è l’assessore ai
giovani. Come vivono a Milano? «Città tentacolare e pentacolare».
Cioè diabolica? «Cresciuta troppo. Le discoteche tengono aperto fino alle 5 del
mattino. Ma siamo matti? È già tanto farle chiudere alle 2. A quell’ora o dormi,
o trombi, o studi. Dalle 3 alle 5 vanno in giro solo i ladri. La gente normale è
a letto. I giovani d’oggi li abbiamo rovinati noi. Non sono allenati al
sacrificio. Prendono un 5 a scuola e s’impiccano». I centri sociali non
l’aggregano? «Bulk, Transiti, Vittoria… Sentine di ogni male da chiudere col
ferro e col fuoco. “Almeno lì dentro possiamo tenerli sotto controllo”, dice il
prefetto. Ma l’atto di ripudio della violenza formulato dal Comune mica l’hanno
sottoscritto. E intanto la famiglia Cabassi, proprietaria della zona
Leoncavallo, sta trattando per farsi dare un’area edificabile altrove, t’è capì?
Fossero vecchi senzatetto, li avrebbero già sbattuti fuori». Vittorio Sgarbi,
assessore comunale alla cultura, difende i leoncavallini. «Sgarbi ha difeso
anche lo scultore Maurizio Cattelan, sostenendo che era un atto razzista
impedirgli l’esposizione dei tre manichini impiccati a un albero di piazza XXIV
Maggio. Che, quando li ho visti, ho preso paura persino io, figurarsi le mamme.
Avrei infilato la testa di Cattelan nella gogna, lasciandolo in balia dei
milanesi».
[continua]
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